mercoledì 23 maggio 2012

Recensione: Il canto della rivolta di Suzanne Collins


Il canto della rivolta
Suzanne Collins
Mondadori (Chrysalide)
€ 17,00
432 pg


Contro ogni previsione, Katniss Everdeen è sopravvissuta all’Arena degli Hunger Games. Due volte. Ora vive in una bella casa, nel Distretto 12, con sua madre e la sorella Prim. E sta per sposarsi. Sarà una cerimonia bellissima, e Katniss indosserà un abito meraviglioso.Sembra un sogno. Invece è un incubo. Katniss è in pericolo. E con lei tutti coloro a cui vuole bene. Tutti coloro che le sono vicini. Tutti gli abitanti del Distretto. Perché la sua ultima vittoria ha offeso le alte sfere, a Capitol City. E il presidente Snow ha giurato vendetta. Comincia la guerra. Quella vera. Al cui confronto l’Arena sembrerà una passeggiata. Che gli Hunger Games abbiano fine.


Il canto della rivolta è l’ultimo volume della trilogia degli Hunger Games, romanzo distopico, young adult con punte di romance. Questa è la definizione ufficiale del libro e per un lettore superficiale o che non si ritrovi completamente coinvolto nella vicenda può risultare perfettamente adatta. Per quanto mi riguarda invece è una definizione un po’ stretta e inappropriata. Vuoi perché ho letto i tre volumi  uno di seguito all’altro (inframmezzati solo da Inheritance di Paolini che al di là della lunghezza del tomo mi ha lasciato con molti spunti di riflessioni), vuoi perché tale lettura si è svolta in un periodo particolare della nostra Storia Italiana, ma è stata il punto di partenza di un bell’esame di coscienza che mi ha lasciato leggermente disgustata.

Katniss è riuscita a sopravvivere all’arena dei 75° Hunger Games, non per sua volontà ma per desiderio dei fautori della rivolta che infiamma i distretti, perché come ben sappiamo lei è la Ghiandaia Imitatrice ed è lei il simbolo e lo stendardo da seguire. Si ritrova quindi prigioniera dei bunker del distretto 13 e della sua presidentessa, la Coin, per cui Katniss non è altro che uno strumento da usare a suo piacimento nella battaglia intrapresa contro Capitol City.

Quello che vogliono è che io assuma il ruolo che loro hanno concepito per me. Il simbolo della rivoluzione. La Ghiandaia Imitatrice. Non basta ciò che ho fatto in passato, sfidando Capitol City ai Giochi e offrendo loro un motivo di aggregazione. La persona su cui i distretti - gran parte dei quali è ormai apertamente in guerra con Capitol City - potranno contare perché indichi loro la via della vittoria. Non dovrò farlo da sola. Hanno un’intera equipe di specialisti pronti a trasformarmi, vestirmi, scrivere i miei discorsi, coordinare le mie apparizioni – come se questo non mi fosse orrendamente noto - e tutto quello che dovrei fare io è recitare la mia parte.

Prima ci sono stati gli Strateghi, che hanno fatto di me la loro star e poi sono stati presi dalla frenesia di rifarsi per quel pugno di bacche velenose. Poi il presidente Snow, che ha cercato di usarmi per spegnere le fiamme della ribellione con il solo risultato di far diventare incendiaria ogni mia mossa. Dopo ci sono sati i ribelli, che mi hanno intrappolata in un artiglio di metallo per prelevarmi dall’arena, mi hanno eletta a loro Ghiandaia Imitatrice e infine sono stati costretti a incassare il colpo di fronte alla possibilità che non desiderassi affatto quelle ali. E adesso la Coin, con la sua manciata di preziose armi nucleari e la macchina ben oliata del suo distretto, scopre che preparare una Ghiandaia Imitatrice a svolgere il proprio ruolo è persino più difficile che catturarne una. Ma lei è stata la più veloce a capire che ho un mio piano personale e che quindi non ci si può fidare di me. Lei è stata la prima a bollarmi pubblicamente come una minaccia.

Le tante sinossi che si possono trovare in rete definiscono Katniss come la protagonista della trilogia. Non è vero, è una pedina, il pezzo di una  scacchiera, un pedone sacrificabile in un gioco più grande, che viene mandato avanti per fare da esca.
La vera protagonista è la società, così simile alla nostra, che si accontenta, così come lo sapevano i Romani, e così come viene citato nel libro, di Panem et Circenses (Pane e divertimenti). Non solo gli abitanti di Capitol City, ma anche gli abitanti dei distretti, finchè ognuno poteva avere la sua razione di cibo e di spettacolo, senza che questo andasse a influire direttamente sul suo modo di vivere, nessuno ha trovato nulla da ridire o da condannare, almeno apertamente. Neanche gli Hunger games risultavano tanto malvagi, a patto che non coinvolgessero un familiare. Una volta spenti i riflettori e calato il sipario, la vita avrebbe continuato a procedere immutata fino al prossimo spettacolo.
La stessa cosa possiamo dirla rivolta alla nostra società. In televisione vediamo immagini tremende di bombardamenti, guerre, popolazioni affamate, attentati, terremoti, alluvioni. Sul momento le immagini ci sconvolgono, ci fanno pensare, ma una volta spenta la tv o cambiato canale, tutto finisce lì perché è lontano da noi e dal nostro quotidiano. La maggior parte di noi è diventata cinica, insensibile, quasi anestetizzata alle brutture del mondo, ed è una cosa che mi fa tremare perché sono la prima a inserirmi in questo gruppo.
Gli abitanti di Panem si ribellano solo perché ad un certo punto vedono qualcuno che sovverte le regole, mette in discussione ciò che fino ad allora era stata pratica comune. In questa confusione è il distretto 13 a farsi avanti. Nascosto nel sottosuolo da 75 anni  a prosperare, se così si può dire, coglie l’occasione propizia per imporre il proprio potere. Ed i distretti non si rendono nemmeno conto di essere diventati nella loro ricerca di libertà, nuovamente delle pedine da manovrare.
Il lettore vive la rivolta con gli occhi di Katniss, gli occhi di una ragazza che per uno strano scherzo del destino si è ritrovata a essere centro della rivolta, ma il suo modo di pensare e di viverla è quella di una persona figlia della società di Panem. Fintanto che le persone che amava si trovavano al sicuro per lei non c’era nessun problema a continuare a vivere come aveva sempre fatto, anche sotto il giogo della dittatura di Capitol City. Il metter in discussione il potere e successivamente la rivolta, fino ai suoi stessi alleati, la portano in un vortice di autodistruzione che la conduce sull’orlo della follia. Contribuiscono alla sua follia anche le vari morti che si succedono a velocità impressionante nell’assalto alla città, difficili da accettare, ma inevitabili in una ricerca di cambiamento e libertà che la rivolta porta con sé.
E’ nelle ultime pagine, quando ormai l’oscurità del cuore di Katniss è totale, che trovo quel barlume che spinge lei e me stessa a credere ancora a qualcosa, alla speranza di un miglioramento, alla possibilità di un’evoluzione dell’essere umano che lo spinga ad essere una persona migliore.

Quello di cui ho bisogno è il dente di leone che fiorisce a primavera. Il giallo brillante che significa rinascita anziché distruzione. La promessa di una vita che continua, per quanto gravi siano le perdite che abbiamo subito. Di una vita che può essere ancora bella.

Voto: 5/5 (Assolutamente da non perdere)

Nessun commento:

Posta un commento