Il canto della rivolta
Suzanne Collins
Mondadori (Chrysalide)
€ 17,00
432 pg
Contro ogni previsione, Katniss Everdeen è sopravvissuta all’Arena degli Hunger Games. Due volte. Ora vive in una bella casa, nel Distretto 12, con sua madre e la sorella Prim. E sta per sposarsi. Sarà una cerimonia bellissima, e Katniss indosserà un abito meraviglioso.Sembra un sogno. Invece è un incubo. Katniss è in pericolo. E con lei tutti coloro a cui vuole bene. Tutti coloro che le sono vicini. Tutti gli abitanti del Distretto. Perché la sua ultima vittoria ha offeso le alte sfere, a Capitol City. E il presidente Snow ha giurato vendetta. Comincia la guerra. Quella vera. Al cui confronto l’Arena sembrerà una passeggiata. Che gli Hunger Games abbiano fine.
Il
canto della rivolta è l’ultimo volume della trilogia degli Hunger Games,
romanzo distopico, young adult con punte di romance. Questa è la definizione
ufficiale del libro e per un lettore superficiale o che non si ritrovi
completamente coinvolto nella vicenda può risultare perfettamente adatta. Per quanto
mi riguarda invece è una definizione un po’ stretta e inappropriata. Vuoi
perché ho letto i tre volumi uno di seguito
all’altro (inframmezzati solo da Inheritance di Paolini che al di là della
lunghezza del tomo mi ha lasciato con molti spunti di riflessioni), vuoi perché
tale lettura si è svolta in un periodo particolare della nostra Storia
Italiana, ma è stata il punto di partenza di un bell’esame di coscienza che mi
ha lasciato leggermente disgustata.
Katniss
è riuscita a sopravvivere all’arena dei 75° Hunger Games, non per sua volontà
ma per desiderio dei fautori della rivolta che infiamma i distretti, perché
come ben sappiamo lei è la Ghiandaia Imitatrice ed è lei il simbolo e lo
stendardo da seguire. Si ritrova quindi prigioniera dei bunker del distretto 13
e della sua presidentessa, la Coin, per cui Katniss non è altro che uno
strumento da usare a suo piacimento nella battaglia intrapresa contro Capitol
City.
Quello che vogliono è
che io assuma il ruolo che loro hanno concepito per me. Il simbolo della
rivoluzione. La Ghiandaia Imitatrice. Non basta ciò che ho fatto in passato,
sfidando Capitol City ai Giochi e offrendo loro un motivo di aggregazione. La
persona su cui i distretti - gran parte dei quali è ormai apertamente in guerra
con Capitol City - potranno contare perché indichi loro la via della vittoria.
Non dovrò farlo da sola. Hanno un’intera equipe di specialisti pronti a
trasformarmi, vestirmi, scrivere i miei discorsi, coordinare le mie apparizioni
– come se questo non mi fosse
orrendamente noto - e tutto quello che dovrei fare io è recitare la mia parte.
Prima ci sono stati gli
Strateghi, che hanno fatto di me la loro star e poi sono stati presi dalla
frenesia di rifarsi per quel pugno di bacche velenose. Poi il presidente Snow,
che ha cercato di usarmi per spegnere le fiamme della ribellione con il solo
risultato di far diventare incendiaria ogni mia mossa. Dopo ci sono sati i
ribelli, che mi hanno intrappolata in un artiglio di metallo per prelevarmi
dall’arena, mi hanno eletta a loro Ghiandaia Imitatrice e infine sono stati
costretti a incassare il colpo di fronte alla possibilità che non desiderassi
affatto quelle ali. E adesso la Coin, con la sua manciata di preziose armi
nucleari e la macchina ben oliata del suo distretto, scopre che preparare una
Ghiandaia Imitatrice a svolgere il proprio ruolo è persino più difficile che
catturarne una. Ma lei è stata la più veloce a capire che ho un mio piano
personale e che quindi non ci si può fidare di me. Lei è stata la prima a
bollarmi pubblicamente come una minaccia.
Le
tante sinossi che si possono trovare in rete definiscono Katniss come la
protagonista della trilogia. Non è vero, è una pedina, il pezzo di una scacchiera, un pedone sacrificabile in un
gioco più grande, che viene mandato avanti per fare da esca.
La
vera protagonista è la società, così simile alla nostra, che si accontenta,
così come lo sapevano i Romani, e così come viene citato nel libro, di Panem et
Circenses (Pane e divertimenti). Non solo gli abitanti di Capitol City, ma
anche gli abitanti dei distretti, finchè ognuno poteva avere la sua razione di
cibo e di spettacolo, senza che questo andasse a influire direttamente sul suo
modo di vivere, nessuno ha trovato nulla da ridire o da condannare, almeno
apertamente. Neanche gli Hunger games risultavano tanto malvagi, a patto che
non coinvolgessero un familiare. Una volta spenti i riflettori e calato il
sipario, la vita avrebbe continuato a procedere immutata fino al prossimo
spettacolo.
La
stessa cosa possiamo dirla rivolta alla nostra società. In televisione vediamo
immagini tremende di bombardamenti, guerre, popolazioni affamate, attentati,
terremoti, alluvioni. Sul momento le immagini ci sconvolgono, ci fanno pensare,
ma una volta spenta la tv o cambiato canale, tutto finisce lì perché è lontano
da noi e dal nostro quotidiano. La maggior parte di noi è diventata cinica,
insensibile, quasi anestetizzata alle brutture del mondo, ed è una cosa che mi
fa tremare perché sono la prima a inserirmi in questo gruppo.
Gli
abitanti di Panem si ribellano solo perché ad un certo punto vedono qualcuno
che sovverte le regole, mette in discussione ciò che fino ad allora era stata pratica
comune. In questa confusione è il distretto 13 a farsi avanti. Nascosto nel
sottosuolo da 75 anni a prosperare, se
così si può dire, coglie l’occasione propizia per imporre il proprio potere. Ed
i distretti non si rendono nemmeno conto di essere diventati nella loro ricerca
di libertà, nuovamente delle pedine da manovrare.
Il
lettore vive la rivolta con gli occhi di Katniss, gli occhi di una ragazza che
per uno strano scherzo del destino si è ritrovata a essere centro della
rivolta, ma il suo modo di pensare e di viverla è quella di una persona figlia
della società di Panem. Fintanto che le persone che amava si trovavano al
sicuro per lei non c’era nessun problema a continuare a vivere come aveva
sempre fatto, anche sotto il giogo della dittatura di Capitol City. Il metter
in discussione il potere e successivamente la rivolta, fino ai suoi stessi
alleati, la portano in un vortice di autodistruzione che la conduce sull’orlo
della follia. Contribuiscono alla sua follia anche le vari morti che si
succedono a velocità impressionante nell’assalto alla città, difficili da
accettare, ma inevitabili in una ricerca di cambiamento e libertà che la
rivolta porta con sé.
E’
nelle ultime pagine, quando ormai l’oscurità del cuore di Katniss è totale, che
trovo quel barlume che spinge lei e me stessa a credere ancora a qualcosa, alla
speranza di un miglioramento, alla possibilità di un’evoluzione dell’essere
umano che lo spinga ad essere una persona migliore.
Quello di cui ho
bisogno è il dente di leone che fiorisce a primavera. Il giallo brillante che
significa rinascita anziché distruzione. La promessa di una vita che continua,
per quanto gravi siano le perdite che abbiamo subito. Di una vita che può essere ancora bella.
Voto: 5/5 (Assolutamente da non perdere)
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